E allora auguro un divertente giorno (e notte) della Piligrèna a tutti!
Halloween: festa "nuova" o tradizione arcaica?
Una tradizione che affonda le radici prima della cristianizzazione
di ERALDO BALDINI
Oggi, soprattutto tra i più giovani, la festa di Halloween, nella notte tra 31 ottobre e 1° novembre, ha assunto notevole importanza, essendo celebrata e attesa con ritrovi, questue in maschera nelle case, eccetera.
Qualcuno è perplesso e parla di colonizzazione culturale, di moda importata dagli Stati Uniti, di una ricorrenza che nulla ha a che fare col nostro folklore.
Ora, se è vero che i nostri ragazzi e bambini che si mascherano sanno poco o niente delle vecchie tradizioni locali e sono spinti più che altro da suggestioni cinematografiche e televisive provenienti da oltreoceano (sull’onda di una globalizzazione che interessa anche il campo del sociale), è altrettanto vero che un tempo in tale data, così come nei giorni seguenti e fino all’11 novembre (San Martino), si assisteva anche nel nostro territorio a un insieme celebrativo che non solo è molto simile alla Halloween americana, ma ne è addirittura all’origine.
Negli Stati Uniti infatti, verso la metà dell’Ottocento, furono le ondate migratorie provenienti prima da Irlanda e Scozia, poi anche dal nostro e da altri Paesi, a portare usanze europee, da millenni facenti parte del bagaglio tradizionale delle nostre popolazioni.
Halloween (nome che in inglese significa semplicemente, per contrazione, vigilia o sera di Ognissanti), insomma, seppure con un altro nome, era una festa che anche in Italia e in Romagna si osservava da tempo immemorabile: solo con la cristianizzazione, che pose al 1° novembre la data della celebrazione di Tutti i Santi e al 2 quella dei Defunti, e con una progressiva perdita delle abitudini tradizionali, tale ricorrenza cambiò un poco volto lasciando per strada elementi invece meglio conservatisi nel folklore irlandese e anglosassone. Il periodo di giorni che va dalla sera della vigilia di Ognissanti a San Martino costituiva un’unica festa, quella della fine e ricominciamento dell’anno agrario, in corrispondenza del termine di tutti i raccolti e in concomitanza delle semine che avrebbero portato i raccolti futuri.
Come ogni importante periodo di passaggio temporale, come ogni “capodanno” insomma, anche quei giorni erano ritenuti aperti al “ritorno dei morti” nella dimensione terrena: morti che andavano celebrati, nutriti, omaggiati per riceverne in cambio benevolenza e protezione. Le maschere che vanno di casa in casa a chiedere il “dolcetto” rappresentano e impersonano proprio i defunti che chiedono un omaggio, un riconoscimento, un’accoglienza benevola, che se non sarà offerta darà il via a una ritorsione (lo “scherzetto”).
Le questue in nome dei morti, in quei giorni, in Romagna erano un tempo diffusissime, così come non mancava la zucca (intagliata e con una candela accesa dentro, chiamata ad esempio “la Piligrena” nella Bassa Romagna), né mancavano racconti terrificanti, a comporre un clima che voleva i “giorni dei morti” sacri e terribili, pronti a concludersi però con l’orgia alimentare e la festa non di rado “trasgressiva” di San Martino.
In quella che oggi è la notte di Halloween e soprattutto in quella successiva, dopo che la Chiesa aveva deciso di celebrare i defunti il 2 novembre, era usanza da noi lasciare di mattina presto i letti liberi e cambiarvi le lenzuola per il riposo dei morti che tornavano, così come si era attenti a lasciare sui davanzali delle finestre lumini per indicare loro la strada, e sulle tavole cibi e bevande per la loro fame e la loro sete; e a proposito di cibi, in Romagna con le “fave dei morti” e altrove con prodotti simili si era soliti preparare dolcetti appositi per la ricorrenza. Un contesto tradizionale simile a quello romagnolo, o ancora più denso ed esplicito, era almeno fino alla fine dell’Ottocento presente in tutta Italia, dalle Alpi alla Sicilia, e non solo nelle zone del nord celtizzate come per lungo tempo si è sostenuto (nel libro ”Halloween” che ho scritto insieme a Giuseppe Bellosi, pubblicato da Einaudi nel 2006, si dà conto di ciò regione per regione). L’arco di giorni ritenuto aperto alla presenza dei morti e dedicato alla loro celebrazione si chiudeva come abbiamo detto l’11 novembre, San Martino, in cui la festa sanciva l’avvenuto passaggio alla nuova annata agraria, benedetta dalla benevolenza dei defunti.
Nessun commento:
Posta un commento